Meditazione e psiche

Conviene che mi avvicini alla meditazione, oppure che cerchi un buon analista?

In questi anni di pratica e insegnamento mi sono trovato spesso a dover rispondere (a chi già praticava ma anche a chi si avvicinava in quel momento alla pratica taoista) alla domanda se dedicarsi alla meditazione fosse o meno la scelta più opportuna. La maggior parte delle volte, infatti, le persone si avvicinano a pratiche “alternative” con la speranza e il desiderio di risolvere qualche problema.

Tipicamente del vivere quotidiano come tristezze, angosce, depressioni e affini.

Ne consegue che, spesso, chi si trova a dover dare un suggerimento rispettoso della persona a cui viene offerto e che risulti utile, deve capire se sia più opportuno suggerire di iniziare la meditazione, oppure di valutare un percorso analitico.

Nella mia esperienza l’alternativa numero due è quella che si si presenta più di frequente. Si crea quindi una situazione a volte complicata perchè di solito l’interlocutore preferirebbe parlare di qi gong e meditazione, e non sentirsi indirizzare a uno “strizzacervelli”. Trovare il modo giusto per suggerire a qualcuno un trattamento psicoanalitico, soprattutto se non te lo ha chiesto, è difficile e rischioso.

Molto spesso poi, chi arriva a valutare la meditazione è perchè ha già avuto qualche esperienza di psicoterapia (spesso non soddisfacente per vari motivi).

Molti miei studenti, quando è capitato di affrontare simili argomenti, si sono sorpresi che chi aveva insegnato loro per anni certe tecniche contemplasse e attribuisse il medesimo valore (anzi spesso maggior valore) alla psicoanalisi che alla meditazione. E questo mi ha portato a riflettere.

Innanzitutto desidero subito chiarire che la meditazione non sostituisce l’analisi e viceversa. Sono due cose diverse, al limite complementari, ma è più facile che la seconda liberi “spazio interno” per svolgere meglio la prima.

Da tempo mi piacerebbe scrivere un breve saggio su questo argomento, ma ancora non ho trovato l’ispirazione giusta per trattare un argomento così delicato come l’interazione tra psicoanalisi, meditazione e pratiche energetico-spirituali. E soprattutto, considerando che non sono un analista, lo considero un compito non privo di rischi. Un giorno forse lo farò ma, per il momento, desidero condividere con voi alcune considerazioni che ritengo importanti.

Psicoanalisi, perche?

Ho dato questo titolo al paragrafo prendendolo in prestito dal titolo di un libro veloce da leggere ma scritto molto bene che potreste trovare interessante in caso voleste approfondire l’argomento: Il libro è edito da Edizioni Dedalo, l’autore è Roger Perron e il titolo è, appunto, Psicoanalisi, perchè? L’autore propone 50 risposte ad altrettanti quesiti nell’ambito della psicoanalisi e le risposte sono veloci, chiare e utili.

Mi permetto quindi di riportare un breve estratto dell’introduzione:

“La psicoanalisi non fa miracoli, tuttavia può essere di aiuto alle persone che soffrono.”
Lo psicanalista si propone di aiutare a vivere, a vivere meglio, le persone che conoscono il peso del disagio quotidiano, insidioso e tenace, a combattere insomma il fatto di “vivere male nella propria pelle”.

Persone che forse non hanno nessuno a cui parlare, nessuno comunque che possa ascoltarle, e che sarebbero magari incapaci di trovare le parole per esprimere ciò che provano. Queste persone tuttavia si sono dette, e si sono sentite ripetere infinite volte: “Ma insomma, datti una smossa, dai, coraggio, lavora, distraiti, trova degli interessi, prendi esempio da X e Y, loro si che hanno saputo reagire bene, ecc.”. Ma dal momento in cui constatano che è proprio questa capacità che manca loro, finiscono con il rimproverarsi, e così all’infelicità si aggiunge anche la sensazione di essere inadeguati. Magari si è fatto uso, se non abuso, di stimolanti, ricostituenti, intrugli prescritti da medici, e forse di altre sostanze non rimborsabili come il tabacco, l’alcol, se non peggio… Queste tuttavia sono situazioni per così dire di “ordinaria sofferenza”. C’è dell’altro però, come il caso dell’uomo che vive in un universo ostile, popolato da oscuri persecutori, oppure della donna la cui vita non è altro che una ricerca continua dell’uomo introvabile, capace di darle, infine, ciò che desidera, anche se nemmeno lei, in realtà, sa di cosa si tratta; poi vi è la persona ossessionata dai microbi, che si lava le mani trenta volte al giorno; e ancora, il bambino autistico…Insomma la lista dell’umano dolore è inesauribile.

Arriva il giorno in cui ci si dice che non è solo il fatto di “non avere fortuna”, forse c’è una ragione se si vive, si pensa, si percepisce e ci si comporta in quella determinata maniera… Ma di che cosa si tratta? Allora si comincia a riflettere, per scontrarsi però velocemente contro il muro di ciò che è incomprensibile. Ci si documenta, si leggono articoli di giornali e riviste, si colgono al volo trasmissioni radio e televisive che trattano questi problemi, ma anche questo non porta ai progressi attesi.

Ci si dice allora che forse è necessario consultare qualcuno che sia capace di ascoltare e forse venire in aiuto. Chi? Ci si informa, si chiede agli amici, si cerca nelle pagine delle inserzioni alla voce “psico…” degli elenchi telefonici. Coloro che propongono i propri servizi sono davvero affidabili? Pare vi siano persone che si definiscono psicoanalisti, ma che non sono altro che dei ciarlatani. D’altronde, gli psicoanalisti non sono forse tutti dei ciarlatani? Perchè è necessario pagare molto denaro e per molto tempo soltanto per parlare? Non si rischia forse di entrare in una spirale di dipendenza peggiore del male stesso? E poi, in fondo, la psicoanalisi cos’è?

Tutte queste domande sono legittime. Le ho sentite molto spesso, e altrettanto spesso ho cercato di rispondere, nel modo più semplice e più veritiero possibile. Come molti dei miei colleghi, mi è capitato di ricevere a colloquio persone che avevano manifestamente un grande bisogno di aiuto, ma che, mal indirizzate, erano cascate nelle mani di sedicenti psicoterapeuti dai metodi aberranti: è stato facile constatare sino a che punto un’esperienza di questo tipo possa aggravare la situazione. In casi del genere provo una certa collera verso lo sfruttatore – conscio o inconscio che sia, poco importa – della sventura umana. Tuttavia, la collera è fine a se stessa se non si trasforma in azione. in questo caso, l’azione, purtroppo, non può che essere limitata poichè, in Francia, almeno per il momento, non vi è alcuna legge che tuteli la figura dello “psicoanalista” o dello “psicoterapeuta”. Ciò che resta da fare è quindi cercare di informare il pubblico quanto meglio è possibile.

Questa è la ragione che mi ha spinto a scrivere il libro…”

 

Tornando a noi, come ho detto non essendo uno psicoanalista cercherò più che posso di non scivolare nella trattazione di aspetti che, appunto, riguardano la psicoanalisi. Cercherò invece di illustrarvi quando e perchè la meditazione viene spesso confusa, presa come surrogato oppure alternativa più semplice a un sano lavoro analitico.

Io credo che vivere la vita sia un’esperienza elettrizzante e meravigliosa. Purtroppo però, come sappiamo, la vita non è priva di problemi e dolori di vario genere che spesso la rendono invece molto difficile da vivere. Ognuno ha il suo bagaglio di esperienze e i suoi “fardelli”. Spesso alcuni di questi sono così profondamente nascosti nel nostro inconscio che, anche se non ce ne accorgiamo, condizionano il nostro sentire e il nostro vivere e agire quotidiano.

Ci può capitare quindi di accorgerci di non essere felici senza saperne la ragione. Oppure averne un’intuizione ma non riuscire a capire in che modo potremmo porre rimedio a una certa situazione o a un certo stato d’animo ricorrente.

E troppo spesso, purtroppo, si è tentati di vedere nella meditazione (un qualcosa che nell’immaginario collettivo ci permette di entrare più in profondità dentro noi stessi) lo strumento ideale, meno costoso e che non richiede troppe giustificazioni di sorta (se non sentirsi dare dei mistici ma nel contempo “curarci” senza dirlo a nessuno) per sanare quello che non va (o che a volte pensiamo non vada).

Il problema è che – ammesso che la meditazione serva a questo (e il discorso ci porterebbe lontano perchè in effetti non credo si possa dire che “serva” a questo) se andiamo a scoprire le parti più nascoste di noi stessi senza avere gli strumenti per comprenderle, finiremo con il creare ulteriore confusione.

Ora è certamente vero che la meditazione è anche altro – non solo una sorta di lavoro analitico personale – ma questo “altro” non può manifestarsi se non affrontando la pratica con una psiche tranquilla.

Il fondamento di una buona pratica meditativa è infatti una mente tranquilla. Sembra un paradosso, ma meditiamo per calmare la mente e allo stesso tempo abbiamo bisogno di una mente tranquilla per meditare. Come detto il discorso di cosa sia effettivamente la meditazione (e per esempio come sia diversa a seconda delle tradizioni e nelle varie scuole della medesima tradizione taoista) è troppo ampio e non è possibile affrontarlo in questo articolo. Giova però soffermarsi su qualche considerazione:

Uno degli scopi della meditazione è quello di favorire una mente calma, attenta e ricettiva. Quando infatti la nostra mente si placa (che non vuol dire assenza totale di pensieri, ma semplicemente una mente calma) l’energia interna del corpo tende a riequilibrarsi, a raggiungere gli organi interni in modo appropriato nutrendoli e rinforzandoli. Quando invece la mente è agitata anche la nostra energia interna lo è.

Meditare (che nella sua più vicina traduzione dalla lingua cinese significa proprio “fermare la mente”) è facile ma spesso viene fatto nel modo sbagliato diventando difficile. In questi casi diventa un’ulteriore traguardo da raggiungersi con complicate e mistiche visualizzazioni, respirazioni, posizioni e fatiche di vario genere. Al posto di aiutare la mente a rilassarsi, si finisce con il creare più tensione di quanta già non ve ne sia. Ma c’è anche un aspetto assai più insidioso. Quello che dentro di noi è già fuori equilibrio, rischia di venire accentuato.

Quello che dovremmo sempre ricordare, infatti, è che certe tecniche “smuovono” notevoli quantità di energia (fisica e psichica) dentro di noi; immaginiamo di avere un pentolone con dentro un fantastico minestrone appena cotto… Quando arriviamo con il mestolo a dare una bella rimescolata, tutto quello che era sul fondo si rimette in movimento, risale alla superficie e si mescola meglio con quello che in superficie già si trovava (per esempio le verdure meno “pesanti”).
Va da se che è importante avere coscienza di quale sia il nostro minestrone prima di smuoverlo per bene. Anche perchè per cuocerlo meglio abbiamo bisogno di conoscere quali verdure ci sono dentro, quali condimenti usare, quali di questi serviranno per riequilibrare gli altri, e per quanto tempo sarà necessario cuocerlo. Scusate questa digressione culinaria, ma credo di avere reso l’idea.

La meditazione è uno strumento potente, semplice se affrontata in modo valido e sano che però da risultati distribuiti nel tempo e difficili da prevedere proprio perchè molto personali per ognuno. E forse è proprio l’idea di raggiungere un risultato che dovremmo perdere per strada. Potremmo invece vedere la meditazione come un momento in cui rigenerarci non occupandoci di nulla. Senza traguardi da raggiungere.

Quando invece si pratica in modo scorretto, male assistiti e magari pasticciando con il respiro, l’energia sessuale e strane forme di qi gong, tutto può risultare dannoso. Trovare Maestri è difficile e generalmente quelli che potrebbero insegnarci qualcosa non sono minimamente interessati all’insegnamento, e quindi sono introvabili. Al contrario, purtroppo, molti di quelli che insegnano sarebbe meglio non lo facessero.  Un detto famoso dice anche che quando lo studente è pronto il Maestro arriva.

Concluderò quindi questo breve articolo suggerendovi di interrogarvi con sincerità sulle reali motivazioni che vi spingono verso la meditazione (dire che volete evolvere il vostro spirito non basta, potrebbe essere quasi una menzogna che propinate a voi stessi).

Ricordate che una buona pratica di qi gong (non estremo ma più fisico della pratica della meditazione – per intenderci sudare un po’ di più rispetto a rimanere immobili a gambe incrociate) può essere una soluzione valida da affiancare a un lavoro analitico nel caso abbiate deciso che sia una strada da valutarsi. Naturalmente il discorso meriterebbe di essere approfondito e, come ho detto, un giorno forse mi cimenterò nell’impresa.

 

Nel frattempo, in bocca al lupo per la vostra ricerca!

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