Imparare a focalizzare l’attenzione

Aug 19 / Cristiano

Imparare a focalizzare l’attenzione
Vuoi meditare? Impara a focalizzare la mente e a cogliere il mutamento.

Sto scrivendo da alcuni mesi un saggio sulla pratica e sulla mia esperienza di “giovane” taoista. Un lavoro lungo che per il momento non sono ancora riuscito a far procedere con l’impegno e la costanza che avrei voluto. Gli impegni della vita, infatti, non sempre ci aiutano a mantenere la costanza che vorremmo. Ma proseguirò un passo alla volta.


Nel frattempo ho deciso oggi di scrivere questo breve articolo per parlarvi dell’importanza di imparare a “focalizzare” l’attenzione.


Può sembrare una cosa da poco, ma in realtà può risultare più complicato di quanto si possa pensare. Il motivo, ancora una volta, è da ricondurre alla polarità di Yin e Yang (se vuoi approfondire, ne parlo QUI e più diffusamente nel corso La Cosmologia Taoista).


Noi siamo “governati” - o per meglio dire operiamo - in un ambito in cui la nostra coscienza è particolarmente condizionata da questa polarità dello Yin e dello Yang. Continuiamo ad alternare forza e debolezza, fuoco e acqua, fretta e calma e via dicendo.


Quando applichiamo questa idea della polarità all’attività della nostra mente ci accorgiamo, forse a volte anche con stupore, che nel caso della mente, appunto, lo Yang sembra essere il protagonista principale.


Cosa intendo dire? Fondamentalmente nella società moderna, come sappiamo, c’è questa tendenza a “elaborare informazioni”. La nostra mente funziona perfettamente e assolve perfettamente a questo scopo che, più che in altre epoche, vede proprio la mente come strumento principale. È più facile che noi ci si affidi all’elaborato della nostra mente che non alle nostre emozioni e alle nostre intuizioni.

Non prendiamocela dunque con lei (la mente) quando (apparentemente) sembra non favorire la nostra meditazione e anzi ostacolarla. La nostra mente fa esattamente quello che è adibita a fare.


Prende le informazioni provenienti dai sensi esterni e dal “mondo esterno” e le elabora per noi. Con il nostro aiuto e la nostra collaborazione, certo. Quando però vogliamo anche solo temporaneamente “focalizzarci” su altro, magari non ne siamo capaci. 


Questo succede per esempio quando il principiante tenta di meditare per la prima volta. Quando magari cerca di “fermare la mente” perché così gli è stato detto di fare. Con il frustrante risultato che, semplicemente, non riesce a farlo. La mente, infatti, continua a elaborare queste informazioni (magari proprio quelle “suggerite” all’interno della meditazione, magari guidata dall’insegnante) e non gli da tregua. La meditazione, invece di diventare un’occasione per riequilibrare la propria energia, diventa l’ennesima battaglia sfibrante, l’ennesimo faticoso impegno della giornata.


Questo succede perché la nostra coscienza è focalizzata sul “qui ed ora”. E in questo ambito fa esperienza e analizza, interpreta e specula sulle informazioni che questo piano di esistenza le propone costantemente. Il segreto per imparare a meditare, dunque, consiste proprio nell’imparare a focalizzare la mente altrove. Focalizzare la nostra coscienza altrove. 


Per poter fare questo, però, dobbiamo imparare a focalizzare l’attenzione. A focalizzarla consapevolmente. Quante volte vi è capitato di leggere un testo e poi accorgervi che non avete capito nulla di quello che avete letto perché stavate pensando ad altro, nonostante foste perfettamente in grado di leggere? La nostra mente può essere addestrata a rimanere focalizzata.


Il primo passo, se vogliamo raggiungere questo “traguardo” consiste nell’imparare a osservare e nell’imparare ad assecondare il mutamento (in passato ne ho parlato anche QUI).


Se vogliamo imparare a meditare (quale che sia la disciplina che abbiamo scelta) occorre per prima cosa imparare a osservare. Prima ancora di focalizzare l’attenzione, infatti, dobbiamo imparare a osservare quello che accade dentro di noi quando, per esempio, ci sediamo a occhi chiusi e tentiamo di ascoltare il respiro.


Ecco dunque un semplice esercizio che potete provare (e ricordatevi anche delle lezioni guidate gratuite che trovate QUI):


  1. Sediamoci su una sedia comoda oppure assumiamo la posizione che preferiamo e a cui siamo abituati.
  2. Chiudiamo gli occhi oppure, ancora meglio, fissiamo un punto davanti a noi. Un punto fisso o magari la fiamma di una candela.
  3. Cominciamo ad ascoltare il nostro respiro. Non significa controllarlo (anzi questo è proprio un aspetto sul quale dovremo cercare di rimanere vigili, vogliamo accorgerci del respiro e ascoltarlo, non dargli un ritmo differente).
  4. Prendiamoci il tempo che ci serve, senza fretta e limitiandoci ad ascoltare il nostro respiro. Cerchiamo di rimanere consapevoli dell’aria che entra durante l’inspirazione e dell’aria che esce durante l’espirazione.


Con tutta probabilità ci accorgeremo presto che questa operazione di ascolto è in realtà più complicata del previsto.

Da una parte ci accorgeremo probabilmente che in realtà, tanto o poco, stiamo influendo sul ritmo del nostro respiro. Gli stiamo imponendo un ritmo pur senza volerlo. Saremo quindi subito ingaggiati nel tentativo di farlo tornare spontaneo (notate che prima che avessi suggerito di farlo, il vostro respiro era perfettamente spontaneo, probabilmente).


Inoltre, se anche il respiro non rappresentasse un problema, ci accorgeremo che mentre cerchiamo di rimanere focalizzati sull’ascolto, la nostra mente è già partita per la tangente. Presumibilmente per occuparsi di questioni più importanti e più urgenti. Rimanere tranquilli, ad ascoltare il respiro, risulterà dunque più complicato del previsto.


E quindi cosa facciamo?


  1. Quando ci accorgiamo che il ritmo respiratorio è stato modificato, che quindi gli stiamo imponendo noi un ritmo non spontaneo, facciamo qualche bel respiro profondo e proviamo a concentrarci sulla punta del naso (lo sguardo è fisso davanti a noi, ma l’attenzione e sulla punta del naso). Nello specifico cerchiamo di percepire all’interno delle narici l’aria che entra e che esce durante l’inpirazione/espirazione. La famosa e affascinante respirazione Anapana della tradizione buddhista.
  2. Se il respiro continua a darci da fare, concentriamoci su di lui. Diamoci il tempo necessario affinché si regolarizzi insieme alla nostra capacità di ascoltarlo.
  3. Una volta che il respiro è più tranquillo, concentriamoci sulla mente. A cosa stiamo pensando? Quali pensieri, immagini e sensazioni attraversano la nostra pratica mentre siamo fermi ad ascoltare il respiro? Non si tratta di distrazioni. Si tratta di quello che la nostra pratica ha da offrirci in questo momento. Limitiamoci ad ascoltare e prendere nota di quello che accade, delle direzioni in cui si sposta la nostra attenzione.
  4. Solo in seguito quando ci saremo resi conto che la nostra mente è un po’ più tranquilla (ci accorgeremo infatti che i pensieri, le sensazioni, i ricordi ecc… sono minori) potremo sperimentare oltre provando a focalizzare l’attenzione in un punto specifico.
  5. Potremo dunque restare in ascolto e, proprio utilizzando il senso dell’udito, provare a focalizzarci su un rumore (il suono del nostro respiro? Il suono del traffico, delle voci in lontananza? Il rumore delle lancette di un orologio analogico?).
  6. Quale che sia il rumore su cui decidiamo di focalizzarci, cerchiamo di ascoltare solo lui, lasciando il resto come un rumore di fondo.
  7. Dedichiamo un po di tempo a questo ascolto. Prendiamo nota di cosa accade dentro e fuori di noi mentre sperimentiamo come focalizzare l’attenzione in questo modo.
  8. Chiudiamo infine la nostra pratica posando le mani sulla pancia e massaggiandola ruotando in senso orario/antiorario per qualche minuto. Dedichiamo gli ultimi due minuti a osservare di nuovo lo spazio intorno a noi riaprendo gli occhi. Riprendiamo dunque “contatto” con il “qui ed ora” dell’inizio.


Questo semplicissimo esercizio potrà riservarvi piacevoli sorprese. Provate a inserirlo nella vostra pratica giornaliera anche solo per pochi minuti ma con costanza.

Inizierete il vostro viaggio verso una mente tranquilla, capace di “parcheggiarsi” quando necessario, per lasciare spazio ai vostri sensi interiori e alla vostra intuizione. Nella pratica della meditazione e nella vita.

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